Intorno al mondo con Dicky - Inevitabile domanda
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a cura di Ricardo Preve
L’inevitabile domanda per gli immigranti
La domanda sempre arriva, prima o dopo, per gli immigranti negli Stati Uniti: “Where are you from? Di dove sei?”
Può darsi che arrivi in forma di cortesia: una sincera curiosità di un vicino nel quartiere aperto all’idea del multiculturalismo della comunità locale. Qualcuno che è veramente interessato a sapere chi siamo, un modo per porgerci la mano, per rafforzare congiuntamente i legami della nostra condivisa umanità.
Quando sono arrivato negli Stati Uniti nel 1976, in conseguenza degli orrori dei “desaparecidos”, delle migliaia di persone fatte sparire in Argentina dalla dittatura militare del mio paese, questo modo cosi gentile di pormi la domanda da parte degli americani che man mano cominciavo a conoscere era di grande conforto per chi, come me, si trovava lontano da casa propria, e dalla propria famiglia. Mi faceva sentire accettato, e benvenuto.
In un modo che oggi, col senno del poi, sembra ingenuo, io apprezzavo profondamente questi gesti. Piccoli momenti di felicità, che richiamo alla memoria oggi come sbiadite fotografie di un passato più sereno, mi riempivano di allegria: ricordo perfettamente la prima volta che misi una moneta in un erogatore automatico di bibite (un aggeggio sconosciuto in Argentina), e ricevetti da esso una bibita alla prugna (“Dr. Pepper”.) La fredda lattina, ricoperta di luccicanti gocce d’acqua, brillava nel sole dell’estate del mio arrivo come un qualcosa di magico.
È vero che, in quegli anni, la popolazione di latini nelle provincie rurali della Virginia era piccola. Ci guardavano più come una novità, certamente non come una minaccia all’ordine politico e sociale. Un agricoltore mi disse una volta: “Non siete in numero sufficiente per formare una minoranza.”
Ma la domanda
“Di dove sei?” può anche arrivare in forma molto diversa.
Può essere
una sfida, male o bene camuffata, al nostro diritto di vivere nel paese in
questione. A volte arriva con toni aggressivi o sfidanti; possibilmente associato
a un “Really … Veramente” in coda alla frase, espressione della certezza del
tuo interlocutore che tu sia straniero, una verifica, quasi, che tu non gli
menta.
Quando la
domanda è posta in questo modo, la tua risposta (o il tuo silenzio) molte volte
suscita nel tuo interlocutore un disprezzo, o una passiva aggressività.
O,
soprattutto se il tuo aspetto è differente (da cosa, uno non sempre lo sa), se
la tua voce è “diversa” (ossia se parli l’inglese con un accento straniero), o
hai un nome che è “difficile da pronunciare”, allora probabilmente ti sentirai
dire un'altra cosa.
“Perché non
te ne torni al tuo paese?”: che non è una domanda, ovviamente, ma un ordine.
Preoccupato
di attirare troppo l’attenzione, cerchi di passare inosservato attraversando
gradi di disperazione differenti, a seconda del tuo status immigratorio legale.
Cominci a inventarti nomi più facili da ricordare: fu in quegli anni che
cominciai a chiamarmi “Rick”.
Quando
ottenni per la prima volta la licenza di guida (in America, l’equivalente alla
carta di identità), ero attentissimo a rispettare le regole di guida, usavo
sempre e solo la corsia all’estrema destra in autostrada, e viaggiavo sempre almeno
10 kilometri all’ora al di sotto del limite di velocità. E quando arrivavo al
cartello di “Stop”, non mancavo di allungare la mia pausa almeno un po’ oltre il
necessario, per dare la certezza all’ eventuale poliziotto in osservazione che
le ruote della mia macchina avevano raggiunto un perfetto stato di immobilita,
prima di riprendere la marcia.
Più tardi,
man mano che ti arrampichi nella gerarchia delle convenzioni sociali e legali
che ti dicono che sei parte dell’America, prima concedendoti il permesso di
residenza, e poi la cittadinanza, cominci a calare un poco la guardia, convinto
che le leggi ti proteggano.
Oggi, fra
tutti, siamo in numero sufficiente per costituire una minoranza: questo ormai
nessuno lo dubita. E siamo più di un gruppo etnico: latini, asiatici, iraniani,
o sudanesi, tutti siamo entrati a far parte di questa grande nazione, nella
grande maggioranza dei casi fornendo contributi determinanti all’evoluzione della
società americana.
Ma dopo quattro
decadi, il mio accento persiste (anche se a volta, lo mescolo con espressioni
dell’inglese del Sud.) E quindi la domanda “Di dove sei?” continuo a sentirmela
fare regolarmente.
Tristemente,
i tempi recenti sembrano aver portato un incremento delle sfide alla mia
presenza, e un deteriorarsi della versione gentile della domanda. Ricevo la
sfida molto più spesso che nel passato. Forse questo risentimento è sempre
stato li, in agguato, ma nascosto sotto la superficie. Forse non ho saputo
vederlo, o non ho voluto. O forse la percezione degli americani verso noi
immigranti, influenzata certamente dai forti pregiudizi del governo precedente,
ha veramente preso una svolta più dura e discriminatoria.
Posso solo
augurare ad altri che arrivano in questo paese, più idealisti e più giovani,
che sappiano avere serenità e fiducia nel rispondere all’inevitabile domanda, e
che ricevano le garanzie legali che permettano loro di rispondere senza paura di
rappresaglie, e senza smettere di riporre speranze nel loro futuro.
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recensione
Valeria
02 Mag 2021
È proprio così Dicky. Nella mia limitata esperienza da immigrata (Londra, 1990)ho vissuto esattamente le sensazioni che descrivi; ero molto giovane, ma avevo in tasca una laurea col massimo dei voti e venivo da uno dei paesi più.. (Evoluti? Industrializzati? Ricchi?): davvero non avevo messo in conto di poter essere così discriminati. Eppure fu questo che avvenne: la ricerca della casa fu faticosissima, bastava il mio accento italiano per precludermi qualunque possibilità. Quando venni assunta il mio capo ci tenne a dirmi che i colleghi venivano tutti da "English speaking countries".... Ecco, quando ripenso a tutto questo, e rifletto sulla "unità di misura" , capisco quanto grande possa essere la fatica di essere "immigrati" e quanto maggiore se maggiore è la distanza (Evoluzione? Industrializzazione? Ricchezza?) tra il paese da cui vieni e quelli in cui cerchi di conquistare il tuo posto
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