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Intorno al mondo con Dicky - Maradona non è morto

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a cura di Ricardo Preve
MARADONA NON E' MORTO
Riflessioni filosofiche sulla figura di Diego


Partiamo da molto lontano.
Sappiamo che per lo meno dalla V dinastia dei faraoni egiziani, intorno al secolo XXV a.C., se non da prima, i sacerdoti egiziani veneravano la memoria di Osiris, dio della morte ma anche della resurrezione.
Osiris era per gli antichi egiziani, al pari tutti i loro dei, eterno. La sua immortalità, tuttavia, non era solo un concetto astratto: ogni anno gli si rendeva omaggio per mezzo di celebrazioni durante la festa della semina del frumento, poichè si riteneva fosse il suo corpo il cibo del quale si nutrivano le verdi e tenere piante pronte a risorgere ogni primavera, nella stagione del risveglio della Natura sulle sponde del Nilo.
Anche per questo Osiris, a quanto sappiamo dalle ricerche archeologiche, veniva rappresentata con una pelle verde, simbolo della crescita delle giovani piante di frumento (Triticum aestivum, una specie della famiglia Graminae, cioè un’erba).
Il culto ad Osiris sopravvisse in Egitto per molti secoli. Insomma, mentre le dinastie dei faraoni si estinguevano in feroci lotte interne, e venivano sostituite da nuove famiglie reali, i sacerdoti di Osiris continuarono, nel corso dei secoli, a tener viva la memoria del loro dio.
Essi erano i fedelissimi, i veri credenti, una casta immortale aldilà delle lotte politiche: immortale come l’erba che cresce ogni anno ai lati del Nilo. Osiris guardava loro con piacere, proteggendoli sempre dai pericoli delle meschine lotte politiche.


Torniamo ai nostri tempi.
Nella seconda metà del secolo XX nacque una nuova religione, il culto per un giocatore di calcio argentino: Diego Armando Maradona. Questa nuova fede ha un numero molto maggiore di credenti, e si estende su quasi tutta la superficie del pianeta.
Non sappiamo quanto tempo durerà questa nuova religione, ma sappiamo già che si nutre di un'altra erba verde, quella che cresce nei campi di calcio. Intorno ad essa i suoi fedeli si sono riuniti dagli albori della religione ed oggi, già morta la manifestazione umana del dio, il rito persiste, con tanto di stadi rinominati in onore di Diego, canzoni, bandiere, bimbi battezzati in ricordo dell’idolo, e milioni di credenti che, fedelissimi, continuano a rendergli omaggio in piccoli santuari nei quartieri popolari di Napoli, di Buenos Aires, o nei villaggi del Bangladesh o Siria.
Nella mia Argentina il fenomeno del calcio come religione è stato seriamente esaminato da antropologi, sociologi, psicologici, storici e studiosi di altre discipline. Tutti sappiamo dei forti legami fra l’Italia e l’Argentina e lascio a voi, cari lettori italiani, decidere quali delle caratteristiche del fanatismo del calcio sono applicabili anche ai tifosi azzurri, e alla società italiana in genere.
In Argentina il calcio fu introdotto come sport dagli inglesi, che erano presenti come immigrati seppur in numero non così elevato come gli italiani, e tuttavia ebbero un ruolo preponderante nella società Argentina, legato soprattutto alla costruzione delle ferrovie  che si estesero dal centro nevralgico di Buenos Aires verso tutti i punti cardinali, una gigante ragnatela che serviva a raccogliere i frutti delle “pampas” ed esportarli oltremare.

Attraverso la loro dispersione geografica in Argentina, approfittando delle ferrovie da loro costruite, gli inglesi introdussero il calcio, e sino agli anni 1920 i verbali della “Associazione di Futbol Argentina” erano tenuti in inglese (un fatto non molto conosciuto né ammesso in Argentina, data la forte rivalità con il Regno Unito che si inasprì nel 1982 con la guerra per le isole Falkland). La loro eredità culturale è ancora manifesta nei nomi di alcune delle più importanti squadre di calcio argentine: Boca Juniors, River Plate, Newell’s Old Boys, etc.
Presto però il calcio diventò profondamente argentino, e si trasformò in qualcosa di assai simile, appunto, a una religione, in concorrenza a quella cattolica con la quale si disputava, e si disputa ancora, la presenza dei fedeli la domenica, il supporto economico, l’attaccamento ai riti, e l’osservanza della liturgia.
Ogni religione ha bisogno di un luogo di raduno. In Argentina, e soprattutto a Buenos Aires, i club di calcio sono sorti in gran numero, continuando ad essere associati con determinati quartieri della città, dove lo stadio è presente e visibile sopra i tetti delle case del borgo. Tutti i giorni gli abitanti del quartiere vedono lo stadio mentre vanno a lavorare, a scuola, o a fare la spesa, come il campanile della chiesa nel dipinto “Angelus” di Jean-Francois Millet. E la domenica è impossibile ignorare l’assordante vocio della folla, i gridi euforici dei gol o la rabbia feroce di una sconfitta.
Ma le religioni hanno anche bisogno di sacerdoti. Alla nascita di un bambino nei quartieri popolari di Buenos Aires, specialmente se si tratta di un maschio, i genitori spesso iscrivono il neonato come socio al club di calcio, prima ancora di registrarlo all’anagrafe o battezzarlo nella parrocchia.
Sino alla metà del secolo scorso, l’adesione degli abitanti di un quartiere verso una squadra di calcio era monolitica. Sarebbe stato inconcepibile che un giovane abitante del quartiere della Boca professasse la sua fedeltà a una squadra che non fosse il Boca Juniors. Ricordo che da piccolo comperavo degli album di figurine dove incollavo i volti dei giocatori di ogni squadra argentina, cosa che si poteva fare perché gli stessi giocatori rimanevano nel loro club di calcio per tutte le loro vite.


Ma globalizzazione e sviluppo dell’universo cibernetico hanno portato a una erosione della solidità delle religioni sportive. Oggi i giocatori passano da una squadra all’altra senza nessun riparo, fedeli al “cash flow” molto più che a qualsiasi considerazione di fedeltà al club. Un album di figurine sarebbe obsoleto immediatamente dopo la sua pubblicazione.
Anche gli allenatori, e gli stessi proprietari dei club non ci pensano due volte a cambiare squadra, o a vendere giocatori se i numeri tornano.
Di fronte a questa commercializzazione della fede calcistica è sorta una classe di accoliti che, come i sacerdoti di Osiris, si sono presi l’incarico di salvare gli antichi riti. In Italia gli chiamate “Ultra”, mentre in Argentina sono conosciuti come “barra brava”, che letteralmente vuole dire un gruppo di persone aggressive (da non confondere con il senso della parola in italiano).
Fedelissimi all’anima della squadra, incorruttibili nella loro difesa dei colori del club, questi gruppi hanno sviluppato una vera struttura sociale che comprende aspetti economici, culturali, e politici. Suggestivamente rinominati (ad esempio, la “barra brava” del Racing Club si chiama “La Guardia Imperiale”) questi gruppi non solo mantengono la tradizione di assistere in persona a tutte la partite della squadra (in alcuni casi viaggiando migliaia di kilometri attraverso l’Argentina per essere presenti anche nelle partite di trasferta, facendo auto stop, nascondendosi dentro i camion o sopra i vagoni dei treni, dormendo nelle stazioni, e rubando se necessario per comperare il biglietto per la partita), ma hanno sostituito la Chiesa e lo Stato in molte delle funzioni sociali nei quartieri.
Le “barra bravas” si occupano della commercializzazione di droghe e armi, gestiscono i parcheggi e le piazze pubbliche attraverso la riscossa di pedaggi dagli utenti, arruolano persone per ingrossare le folle alle manifestazioni dei partiti politici, e assicurano voti in cambio di biglietti gratis per le partite della squadra, biglietti che poi vengono venduti in nero con ingenti guadagni.
Veri e propri guardiani dell’anima del club, i “barra bravas” tramandano le tradizioni della squadra da una generazione a un'altra, osservando la liturgia del rito, incorruttibili persino dal più ricco patron che possa acquistare la squadra. Una vera religione forte di mistiche passioni e devota osservanza alle bandiere del club.

All'interno di questo schema quasi-religioso la scalata di Maradona da uno dei più poveri quartieri  di Buenos Aires sino all'apice al dell’attenzione mondiale è facilmente assimilabile all'arrivo di Cristo sulla terra un paio di migliaia di anni fa. Maradona come fenomeno mondiale va spiegato a mio giudizio non con il parametro della sua perfezione, poiché certamente perfetto non era (specialmente sul piano personale), ma, al contrario, proprio con quello della sua imperfezione. Fu la possibilità di sovrapporre al suo destino quello dei meno fortunati, i poveri, i dimenticati, quelli che  non possono sperare di meglio che vivere 90 minuti di gioia la domenica “in chiesa” se Maradona regala un gol, e li benedice con una assoluzione delle loro tristezze originate dalla droga, dalla miseria, dall’analfabetismo… fu questo che diede a Maradona il suo stato di divinità.
Maradona era cosciente della sua divinità, come dimostrato dalla sua risposta al giornalista che gli chiese se aveva segnato il gol della vittoria degli argentini contro gli odiati inglesi nel Mondiale 1986, usando in modo illecito con la mano: “Sarà stata la mano di Dio”; Maradona dixit. Come Cristo che annuncia la sua resurrezione, la divinità incarnata è cosciente della sua eternità.

Adesso i giornali dicono che Maradona è morto. Lo dicono perché devono attenersi alla veracità delle cronache che riferiscono un evento puntuale. Ma in tanti piccoli santuari a Napoli dove si conserva un ciuffo dei cappelli di Diego, cimeli dello suo passato nella città partenopea, e nelle squalide e scure bidonville di tutto il mondo dove il calcio è passione, brilla ancora la fiamma di una religione che annuncia che Maradona non è morto. Dovunque cresca ancora un filo d’erba verde su cui far correre il pallone, il dio della vita e della morte gioca ancora.
4
recensioni
Valeria
14 Dic 2020
Sono grata in ogni caso a Ricardo, come gli ho già espresso a voce, di averci collocato la figura di Maradona in un contesto più ampio che ci ha consentito una interpretazione più precisa e ricca dell'idolatria che gli è starà riservata.
Valeria
14 Dic 2020
Di questo processo, Mario, dovresti riferirci la sentenza! In ogni caso la vicenda di Maradona può essere collocata, mutati mutandis ma oggetto di analoghe riflessioni, accanto a quella di tanti "maestri" dell'arte, della letteratura, del cinema che si sono macchiati di orrendi misfatti: è sufficiente questo per tirarli giù dall'Olimpo? Di quali maestri ci avrebbe privato la storia se avesse condannato all'oblio furfanti e assassini? (detto questo, non me ne vogliano gli appassionati di calcio, in tanti avremmo potuto fare a meno di Maradona!)
giorgio martino
13 Dic 2020
Ricky, la tua storia di Maradona e... della storia delle religioni è puntualissima ed azzeccatissima! Grazie!
Mario
13 Dic 2020
Non si può aggiungere niente alla tua eruditissima trattazione del caso Maradona. Forse val la pena di ricordare che cinque anni fa, qui a Genova (presso la facoltà di giurisprudenza) organizzammo un vero e proprio Processo a Maradona, dove il realismo era tenuto così in gran conto che l'accusa fu sostenuta da due avvocati e la difesa da due PM... https://www.ansa.it/liguria/notizie/2015/02/27/genova-processa-maradona-mano-de-dios_7be450a6-05d6-48da-ba50-bcf6dce19610.html
Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
Gli Scompaginati - circolo di lettura via assarotti 39 - genova ITALY
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