Due cugine in Sudafrica - 6
SPECIALS
All’aeroporto di Durban ci consegnano una macchina che sembra nuova di zecca. Lo sarà? Non funziona il Garmin: dipendiamo dal GPS dei cellulari, fortunatamente abbiamo una power bank (regalo di Giorgio Martino), una sorta di superpila a cui ricaricarli quando necessario. Altre autostrade ampie e relativamente affollate, ma stavolta i paesaggi sono animati: case, officine, le immancabili township prima di arrivare a Durban, immensa metropoli di grattacieli e macchine. Ma che diavolo siamo venute a fare qui? Abbiamo sbagliato tutto. Abbiamo fatto tanta strada per immergerci nel traffico e nello smog? Le nubi per di più sono basse basse, e gravide di una pioggia sottilissima: al ventesimo piano del nostro albergo, sul lungomare, sembra quasi di starci dentro. Per le strade circolano tantissimi neri, ma di una etnia diversa da quella che abbiamo trovato a Cape Town.
O meglio le etnie qui sono tante, e sono diversi i corpi che ci sfilano davanti (Durban sembra essere, almeno in questo momento, una località di villeggiatura) e che incontriamo nell’enorme e affollato ristorante dell’albergo, dove Valeria ed io siamo le uniche rappresentanti dell’etnia bianca. In compenso qui i neri non ci guardano con ostilità, come a Capetown, ma con una qualche simpatia. Uomini e donne bassi e grassi, che portano con indifferenza e con una certa fierezza pance e deretani considerevoli, ammantati in tessuti dalle vivaci cromie, ed altri invece alti e segaligni, abbigliati in abiti dalla foggia severa: e poi tutte le vie di mezzo rispetto a questi estremi. Non mancano gli indiani. E carnagioni nero cioccolato, nero fumo, nero marroncino, crema. Qualche donna molto bella. Tutti sorridono e sembrano estremamente a loro agio. Pare che Durban sia una città pericolosa, ma nelle poche ore della nostra sosta Valeria non si lascia certo intimorire e fa una passeggiatina nei dintorni.
Fortunatamente presto partiamo per la nostra nuova destinazione, lo Zululand e St Lucia.
Debbo dire che confidavo molto nella bellezza di quello che secondo me ci attendeva. E in effetti già il lungo viaggio in macchina ci ha mostrato un nuovo paesaggio naturale, lussureggiante, fitto di alberi, e di varie sfumature di verde. Tutte queste piante annunciavano in effetti il nostro approssimarci ad una delle aree più straordinarie del Sud Africa. Foreste, fiumi, paludi, acquitrini, laghi, dune e centinaia di chilometri di spiagge sull’Oceano Indiano creano in questa regione, l’iSimangaliso Wetland Park, proprio ciò che iSimangaliso significa in lingua zulu, e cioè una meraviglia.
Diversi bioclimi si incontrano qui, e permettono la vita di molte specie di animali e di piante: molte di esse si trovano soltanto in quest’area. Quando siamo arrivate a St Lucia, nel pomeriggio, pioveva. Avevo scelto con cura l’hotel dove avremmo trascorso quattro notti, ma ovviamente la lunga contemplazione delle fotografie pubblicate sul sito non internet avevano potuto rendere ragione della realtà. Avevo creduto di entrare in un paradiso terrestre che avremmo abitato Valeria, io e nessun altro, e così non era, ovviamente, perché il Kwalucia Private Safari Retreat si apre su una strada, la Katonkel Street, sulla quale sono anche altri alberghi. Niente di cui preoccuparsi troppo, però: St Lucia resta un paese minimo, una manciata di ville e piccole case, un centro turistico a due o tre chilometri dall’oceano. Tuttavia, una volta superato l’alto portone di legno decorato in ferro battuto del Kwalucia si entrava in un vero e proprio giardino tropicale, fitto di alberi e felci di diversa altezza.
Nel verde si intravedevano un paio di villette, mentre salendo una scala di legno, ci aspettava la casa padronale, arredata in stile africano, come le nostre stanze, e la piscina. Simpatici i padroni di casa, una coppia il cui inglese, certo un dialetto del luogo, lì per lì ci ha dato filo da torcere. Le vocali che si pronunciano chiuse loro le pronunciavano aperte, e a volte aggiungevano vocali che nelle parole inglesi non ci sono (il loro sáif, per dire “sicuro” – safe- è indimenticabile). Aveva appena smesso di piovere e le grandi foglie degli alberi gocciolavano e scintillavano alla luce del tardo pomeriggio. Già in Kenya, tanti anni fa, avevo fatto esperienza di questa natura prepotente, di alberi così poderosi che sembra quasi di sentir fremere dentro i tronchi una vita potente e inesauribile. Le radici si intrecciano, si dispongono a mazzi, si attaccano l’una all’altra, tutte le piante sembrano riuscire a convivere in equilibrio.