Intorno al mondo con Dicky - Le mie muse
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a cura di Ricardo Preve
LE MIE MUSE
Il numero e gli attributi esatti delle muse variarono durante le epoche greche e romane durante le quali furono venerate. Per Cicerone furono quattro, ma generalmente se ne considerano nove, ognuna con diverse qualità e doti artistiche. Figlie di Zeus e Mnemosine (la dea della memoria), il loro culto fu spesso associato alle sorgenti dei fiumi greci, rappresentando in questo modo il loro ruolo come fonti d’ispirazione artistica.
Permettetemi quindi di scegliere quattro donne del cinema per raccontarvi chi sono le mie muse, come mi ispirano artisticamente, e perché le ammiro.
Anouk Aimée aveva già fatto parecchi film quando Jacques Demy la volle per “Lola” (1961), dove recitò la parte di una ballerina e prostituta a Nantes. Per il personaggio di Lola la danza è la via di fuga dalle miserie del presente: abbandonata da un enigmatico americano (do cui solo sappiamo il nome, Michel) dal qual aveva avuto il suo unico figlio, Lola balla per guadagnarsi la vita, ma anche per dimenticare il dolore dell’abbandono. Come la musa Tersicore, “colei che si diletta nella danza”, il personaggio di Aimée balla per dare un senso alla sua vita.
Aimée continuò a fare film tutta la sua vita: indimenticabile “Un uomo, una donna” del 1966 con Jean-Louis Trintignant, un film che per me riscatta dal nichilismo emergente negli anni 60 l’idea che l’amore è ancora possibile. Con Trintignant si sono rivisti sul set anche recentemente: vedi “I migliori anni della nostra vita” di Claude Lelouch (2019).
La mia seconda musa, della quale vorrei parlarvi, è colei che per me rappresenta la figura moderna della musa Melpomene, quella della tragedia: l’attrice americana Jean Seberg, morta a Parigi (in circostanze mai ben chiarite, ma presunta suicida dalla polizia francese) nel 1979, a soli 40 anni.
Seberg irrompe nella scena cinematografica mondiale nel 1960 abbinata a Jean Paul Belmondo nell’indimenticabile “Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard. Con i suoi capelli corti, il suo aspetto fresco ed innocente, e la sua brillante recitazione nel ruolo della donna-bambina che seduce il seducente brigante del personaggio di Belmondo, ci fu qualcosa in Seberg che me ne fece innamorare dal primo fotogramma nel quale la vidi: un desiderio di proteggerla dalle minacce della vita, come fosse una mia figlia.
Minacce che peraltro furono assolutamente reali: la Seberg coltivò un forte impegno verso i diritti umani, la giustizia sociale, e la lotta contro il razzismo, che la portarono al coinvolgimento nella dimensione politica, e finirono con lo sfociare in un aperto conflitto con le autorità americane, particolarmente con l’FBI del misogino John Edgar Hoover. Hoover si accanì con la Seberg, sottoponendola ad indagini persecutorie e a una campagna di stampa denigratoria che probabilmente contribuirono ad alimentare la sua depressione che la condusse al suicidio.
La storia tragica della moderna Melpomene è molto ben raccontata nel film “Seberg – Nel mirino” di Benedict Andrews, con l’eccellente recitazione di Kristen Stewart.
Consideriamo a seguire la musa Erato, definita come “colei che provoca desiderio”. E chi meglio della bellissima ed inquietante Delphine Seyrig (1932 – 1990) per rappresentarla? Quest’immagine di musa portatrice di sensuale e mistero (alimentata forse anche dall’esotica origine libanese della Seyrig, nata a Beirut) si è espressa pienamente nell’incomparabile “L’anno scorso a Marienbad” di Alain Resnais, dove la Seyrig recita la parte della misteriosa e bellissima Signorina A., desiderata follemente dal Signor X.
Ma la Seyrig non era solo una faccia carina sullo schermo. Predno a rioferimento la sua recitazione nel ruolo di Jeanne Dielman, una vedova che vive a Bruxelles in un piccolo e squallido appartamento con il figlio studente universitario nel film omonimo di Agnes Varda (1975), uno dei capolavori in assoluto di tutte le performace cinematografiche. Se avete la pazienza di assistere alle quasi tre ore e mezza della durata di “Jeanne Dielman” scoprirete una recitazione straordinaria, con un finale che si consuma, assolutamente inatteso, negli ultimi minuti e che non vi racconto per non rovinarvi l’opportunità di essere sorpresi dallo straordinario lavoro di Seyrig.
Infine, come non menzionare la mia musa Emmanuelle Riva: anche lei come la Aimée ha avuito una lunga carriera che si è aperta e chiusa con due capolavori. Bellissima e suggestiva nel 1954 in “Hiroshima mon amour”, la Riva dimostrò di essere come Clio, la musa della storia e del passato. In “Hiroshima mon amour” ci affascinò con i suoi ricordi della sua storia d’amore con un soldato tedesco in Francia durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre nel 2012 fu nominata a un Oscar per il suo ruolo in “Amour” di Michael Haneke, un film che parla dei ricordi, e delle memorie di una vita insieme fra due persone.
Riva fu anche scrittrice e poetessa, il suo “Danzerai senza muoverti” fu tradotto all’italiano e pubblicato da Mincione Edizioni nel 2015.
Proprio come le muse dell’antichità, le mie quattro muse vivranno per
sempre nel mio cuore: certamente perché come uomo apprezzo la loro bellezza, ma
anche perché come regista apprezzo i loro talenti. Spero con queste righe aver
svegliato (o risvegliato) anche in voi un desiderio di conoscerle meglio.
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